L’isola dei cani

di Wes Anderson (2018)

BAU! <“Ho voltato le spalle al genere umano!”>

In un Giappone sovrappopolato,  Kobayashi, il sindaco dispotico della città di Megasaki, decide di mettere al bando i cani, sostenendo che rappresentano un pericolo pubblico perché affetti da influenza canina.

Facendo leva sulle paure della cittadinanza, attraverso una consultazione popolare (farsa) e non tenendo conto delle ricerche del professor Watanabe, finalizzate alla cura della malattia, ne decreta il confinamento sull’isola dell’immondizia.

Ma non tutti si rassegnano alla deportazione dei propri amici. Primo fra tutti il nipote adottivo del sindaco, Atari e i Pro-Dog, un gruppo clandestino di attivisti amici dei cani.

Atari parte alla ricerca di Spots, il suo “cane da difesa personale” al quale è affezionatissimo. Atterra sull’isola e fa immediatamente conoscenza con un gruppo di cinque cani che diverranno suoi compagni di ventura e che lo aiuteranno nella ricerca di Spots.

Atari verrà a conoscenza delle nefandezze perpetrate ai danni dei cani, finanche a vedere coi propri occhi un centro di sperimentazione animale di proprietà della famiglia Kobayashi e deciderà di ergersi a paladino della liberazione dei cani, accompagnato da un gruppo di cani che nel frattempo s’è fatto molto numeroso.

I sindaco intanto fa dichiarare morto Atari, imputandone l’uccisione ai cani, per fomentare ulteriormente la paura e l’odio tra la popolazione. Per questo inoltre decide di attuare una “soluzione finale” che porterebbe all’annientamento tutti i cani dell’isola (“Per il nostro e IL LORO BENE”).

Il finale ve lo lascio immaginare (evitando gli spoiler) o, nel caso lo vedeste al cinema, ve lo lascio gustare.

Il film è completamente realizzato in stop motion e tutti gli attori sono dei pupazzi. I cani sono rappresentati con le loro personalità più disparate, mossi da quella involontaria simpatia che solo chi li ama può capire.

Mi ha particolarmente colpito la rappresentazione del sindaco Kobayashi sui manifesti che ricorda moltissimo il grande fratello.

I dialoghi sono volutamente lasciati in giapponese per quasi tutti gli umani e in italiano (nel nostro doppiaggio) per quasi tutti i nostri amici a quattro zampe.
Il doppiaggio americano annovera degli attori famosissimi.

La durata è oltre l’ora e mezza, ma scorre liscia come l’olio, alternando momenti buffi con altri drammatici.

La colonna sonora è bellissima, soprattutto per chi ama i tamburi giapponesi.

L’unica rimostranza che posso fare, almeno alla storia, è data dall’idea che gli amanti dei gatti debbano essere giocoforza nemici dei cani.

Menzione speciale per Oracle, l’oracolo del gruppo canino, che “apprende le cose dalle sue visioni”. Spassosissimo.

Probabilmente non diventerà molto popolare, ma di sicuro diverrà un film culto.
O almeno, per me già lo è.